domenica 19 settembre 2010

RECENSIO - J. G. Rosa, "Grande Sertao"

Da un po' di tempo, per questioni affettive e di curiosità mie personali, mi sono voluto avvicinare alla letteratura brasiliana, a me del tutto ignota prima. Un giorno, passeggiando come spesso faccio per Feltrinelli, mi sono imbattuto in un libro, quasi fosse stato lui a chiamarmi: l'ho preso in mano, guardicchiato, aperto, annusato e alla fine ho deciso di prenderlo, per poi scoprire a casa che viene considerato la vetta più alta di tutta la letteratura brasiliana. Insomma ciò che cercavo mi ha trovato, e nella sua forma probabilmente più alta, e così ho deciso, avendolo terminato giusto poco fa, di lasciar traccia dei miei pensieri. tale libro è

João Guimaraes Rosa, "Grande Sertão"

Subito dico che è un romanzo di non facile lettura, per la mole (500 pagine), per la forma (nessuna divisione in capitoli o paragrafi, ma un lunghissimo fiume di parole, quasi joyciano nel suo essere, quasi un Rio delle Amazzoni che brama eroticamente di raggiungere l'oceano dove esplodere) e per il linguaggio (che il traduttore Edoardo Bizzarri ha magistralmente reso, conservando le peculiarità innovatrici e fantasiose linguistiche di Rosa, che alcuni critici hanno definito l'Omero, il Virgilio, il Cervantes e il Joyce di Brasile.
All'inizio fu dura anche per me, ma sono persona testarda in ogni cosa della mia vita, e la sfida era aperta e DOVEVO vincerla e così ho proseguito, e avanzando nelle parole mi sono lasciato imprigionare e ho seguito la corrente sino alla fine, sempre più affascinato e conquistato.
Cos'è "Grande Sertão"? E' una storia di "jagunços", cioè di briganti, ma briganti nobili, eroici, erotici, passionali (il magistrale e necessario glossario posto in conclusione del libro li paragona ai bravi manzoniani, ma di loro gli jagunços poco hanno a mio avviso) che vivono la vita e muoiono la morte nei "sertoes", i deserti che si aprono nelle immense distese di quel paese staroridnario, meraviglioso, affascinante, terrorizzante che è il Brasile. Il sertão non perdona: caldo, polvere, pioggia, vento, ma anche distese lussureggianti di pascoli, fazendas, foreste, fiumi, che i nostri eroi attraversano.
"Grande Sertão" è Riobaldo, lo jagunço narratore, che in un interminabile susseguirsi di parole, descrive la sua vita, tra momenti di battaglie e scontri picareschi, profonde riflessioni sul senso della vita e delle vite, amori sessuali e amori di puro cuore, e continui ribaltamenti di alleanze, di attrazioni, di personalità.
Riobaldo non è solo Riobaldo, ma nel divenire degli eventi essi assume diversi nomi: è Tatarana (colui che suona il fucile come uno strumento) quando viene accolto dal capo del suo gruppo, è l'Urutù-blanco (velenosissimo serpente brasiliano) quando, ucciso dal tradimento di un suo uomo il leggendario capo Joca Ramiro, diventa capo assoluto dei jagunços rimasti in cerca di pura e sana vendetta sulle vipere che hanno osato disturbare l'ordine e la pace regnante nei sertoes, torna infine ad essere semplicemente Riobaldo alla conclusione della sua storia tutta narrata in prima persona a un misterioso "vossignoria".
Questo romanzo è anche romanzo d'amore, per le ragazze incontrate lungo i mille omerici viaggi nei mari di verde albero e giallo sabbia, per la ragazza promessa sposa Otacilia, uno sguardo da una finestra, un sorriso, una pelle lucente che intrappola il cuore di Riobaldo, ma è anche l'amore per un suo misterioso compagno sin dall'infanzia, Diadorim, figura emblematica, misteriosa e che sarà il colpo di scena conclusivo ribaltante il tutto.
Insomma, è un romanzo che va affrontato, pur nella sua difficoltà, perchè è affresco di vita umana, con tutte le sue debolezze, perchè è un acquerello sulla vita di un certo Brasile misterioso, affascinante e in fondo anche magico (Dio, Satana, natura: ogni entità spirituale avvolge la vita dei jagunços sempre, in ogni loro attimo) e perchè, come Luciana Picchio afferma in quarta di copertina: "questo libro magico [...] è forse il dono più grande che l' America Latina del realismo magico e il Brasile della parola iridata hanno fatto in questi anni a un' Europa di disseccato cerebralismo"
Appunto: contro il cerebralismo, la scientificità, il raziocinio, abbandoniamoci e abbandonatevi alla magia e alla parola che è anche disegno oltre che grafia di questa opera. ne vale la pena.