mercoledì 31 marzo 2010

RECENSIO - A. Nothomb "Le catilinarie"

Mi è venuta voglia di lasciar segno di quanto i miei occhi vedono sui fogli stampati che leggono, anche perchè di mio ho scarsa memoria e rischio di dimenticare in fretta. Quanto fu in passato ormai è andato: parto perciò dall'attualità e dall'ultimo libro letto.

A. NOTHOMB, "Le Catilinarie", Guanda Ed.

Come già i due suoi precedenti lavori letti ("Igiene per l'assassino" e "Metafisica dei tubi"), anche questo riesce a coniugare brevità (visivamente tutti i romanzi della belga francofona appaiono libelli) e profondità di contenuto.
Immaginatevi d'essere due simpatici vecchietti che decidono di passare gli ultimi anni della loro amorevole vita reciproca in pace e tranquillità nella casa dei vostri sogni, per poi scoprire che i soli vostri vicini sono due obesi squilibrati che iniziano a tormentarvi: voi cosa fareste?
Ecco, la Nothomnb parte da questo evento, alla fine avvenibilie a chiunque (alzi la zampetta chi non ha mai avuto vicini detestabili, antipatici, invadenti, e forse noi stessi lo possiamo esser stati per i nostri dirimpettai), per creare la sua solita ridda di eventi tragicomici, di meditazioni sul senso umano e sui rapporti che possono intercorrere tra differenti creature appartenenti alla specie di mammiferi bipedi cui tutti noi apparteniamo.
La vera eroina del romanzo è forse il personaggio più in ombra: la povera Bernadette, prigioniera doppiamente della sua jabbica obesità e del marito ottuso e sottilmente sadico e perfido, che però si dimostrerà il più fragile della storia.
Il protagonista Emile rappresenta altresì un ribaltamento del classico personaggio da romanzo di formazione: non il giovincello ignari della vita, ma l'anziano ricolmo di esperienza e affetti che al limitare della sua esistenza capisce che è giunto il momento di mutar attitudini e abitudini.
Nel complesso un romanzo che si lascia leggere con rapidità e interesse, che lascia sempre quel sottile dispiacere per la sua brevità, che però, ragionandovi, alla fine è un'arma in più in mano al folletto genietto della Nothomb (peccato solo, per mia passione personale, non sia fiamminga!!).

sabato 27 marzo 2010

IN DREAMS - carrellata per autoanalisi di qualche mio folle sogno notturno

1)Sono disteso su una spiaggia e parlo con dei cetacei non identificati (forse balene) riguardo al tempo meteorologico, e loro mi rispondono dando vita a un interessante dialogo.

2)Parlo con una ragazza olandese in Belgio, da me conosciuta e che mi piaceva (era stata la prima ragazza conosciuta durante la mia esperienza erasmus e si chiamava Roos); a un certo punto si mette a diluviare, la sua bianca t-shirt si bagna tutta e vedo che sotto appaiono tre tette.

3)Per fare la mia tesi di laurea devo tornare all'età medievale per intervistare Boccaccio e Petrarca, ma li trovo entrambi distesi a letto, morti da parecchio tempo e semi-mummificati, al che io scappo terrorizzato.

4)Assisto in presa diretta, tra gli astanti, al martirio di Sant'Agata, cui strapparono le tette; non risulta chiato se sono semplice spettatore o carnefice.

5)Sono a casa mia a Mestre, ho una pistola carica e senza sicura, pronta a sparare e la lascio in cameretta nella cesta. Esco, lasciandola là, col terrore che mia madre la tocchi e parta un colpo.

6)Vado in spiaggia con mio padre; ad un certo punto da un megafono escono strane voci (o forse suoni indistinti) e dal mare e dalla spiaggia stessa fuoriescono degli scheletri, al che scappiamo entrambi urlando. [fatto due volte identico a distanza di anni)

7)Esco dalla mia cameretta, vado in camera dei miei che non sono a casa in quel momento e guardando lo specchio del loro armadio vedo apparire due teschi

venerdì 26 marzo 2010

NATI SOTTO IL SEGNO DEL RETTO - Libera interpretazione vendittiana (perchè anche la volgarità, quando intelligente, è arte!)

(Venditti - Donazzon - Santangelo - Rutigliano)

Ti ricordi quella strada

eravamo io e te

e la gente che correva

e rideva dietro a noi

« anvedi che stronzi là in fonno

stronzi e rottinculo

e fiji de puttana

cha parono frocioni

e pure un po’ finocchi »

corri stronzo corri nun fermarte



Ti chiedevi che ti manca

una figa tu ce l’hai

e un culo se c’hai voja

e pure un par de zinne

nu me stà a rompe

rompere li cojoni

e vattene a cagà

che m’hai rotto er cazzo

coi tu’ discorsi

nati sotto er segno

nati sotto er segno der retto



Ed il rock passava lento

e io me ce pulivo er culo

e con un po’ de carta

me finivo er lavoro

ma tutto quel che resta e che vedo

è solamente merda

e piscio pe nnoi

che meritiamo n’artro cesso

piu’ lindo e largo casomai

nato sotto er segno

nato sotto er segno der retto



E Marina s’è stufata

oggi batte pa’ ‘a strada

pija poco e pure male

e s’è rotta de li negri

ma tutto quel che cerca e che vuole

è solamente cazzo



e un dito quanno c’è

sta grandissima bagascia

larga come nun lo so

nata sotto er segno

nata sotto er segno der retto



E Giovanni è un ingegnere

co’ problemi intestinali

ha bruciato la su’ laurea

a furia de scorregge

ma tutto quel che cerca e che vuole

è solamente figa

e un culo ‘ndo godere

ma comunque tutt’e due

stretti e lunghi un bel po’



FIJI DE NA GRANNE BAGASCIA



OOH ! OOH ! OOH ! AAH ! AAH !

giovedì 25 marzo 2010

SETTEMBRE

Settembre ti vide nascere
il dolce mese che uccide l’estate
per poi cullarla e piangerla tra le braccia.

Il vento che torna libero a soffiare dai monti
plasmò il tuo corpo perfetto
invidia delle divinità nell’alto Olimpo
che vista ti accolsero però nella loro schiera.

I mari tornano liberi a muoversi
ed entrando nelle tue vene reclamano
il tuo prezioso e disarmante sorriso.

Intingendo i raggi nella sua multiforme tavolozza
il sole, che bacia con sguardo nuovo la terra,
la ricopre di nuovi colori
che tutti gioiosamente entrano nei tuoi occhi
che li riflettono al mondo e a me
portando nuova gioia e voglia di vivere…

…come il dolce settembre che ti vide nascere

21 Aprile 2005

Ponte vecchio. Ovvero autoanalisi d'una storia mai nata.

Il primo fulmine spezzò in due il cielo e poco mancò che la sommità di quel quasi millenario campanile facesse la fine di un giocattolo nelle mani di un bambino un po’ troppo esuberante.....

Federico aveva probabilmente scelto il periodo peggiore per tornare a respirare l’aria della città da lui più amata, la città del giglio e della carne, delle aspirazioni vocali e dell’arte, ma questo ancora non poteva saperlo. Non voleva credere né poteva pensare che esistessero momenti nei quali il suo spirito non avrebbe dovuto aleggiare sugli antichi selciati di Firenze, ma per gli eterni ottimisti quale lui era anche la peggiore guerra non è altro che il preambolo di un nuovo arcobaleno.....

Come Lei si chiamasse non riusciva a scolpirselo nella mente; Martina forse, o ..Giulia..; ma il suo lato simbolico lo soccorse e negli occhi si creò l’..imma..gine della pace.. IRENE! Finalmente aveva il nome e ora doveva sforzarsi per rammentarlo e per non fare le solite, eterne brutte figure che ormai l’avevano reso simpaticamente famoso tra tutti i suoi amici.....

Irene era passata all’incrocio della sua vita il mese precedente, quando nello stanco ipnotizzarsi di fronte al monitor, dando vita una dietro l’altra alle sue Gauloises blu cui non riusciva più a staccarsi da che le aveva conosciute, come esse fossero (e tristemente forse davvero lo erano) la sua amante più fedele e spregiudicata.....

<..> ....

<..> ....

<..> ....

E furono i soliti, tanto noiosi quanto necessari, convenevoli che roboticamente tutti coloro che erano entrati nel novello labirinto di Creta che erano le chat ben conoscevano. Cosa cercavano? Cosa volevano? Un partner da scopare allo spasimo? L’amico del cuore o l’amore della vita? O il nemico da umiliare, sconfiggere, abbattere, annullare?....

Nessuno poteva saperlo, neppure loro, ma di certo Federico e Irene si piacquero subito. Avevano passati in comune, avendo entrambi lottato col peggior avversario che tutti possiamo conoscere, la solitudine sentimentale, e per entrambi la Via non poteva che essere l’Arte, letteraria, musicale, fumettistica non importava, ma l’Arte, dono più prezioso che tutti noi possiamo ricevere.....

Era chiaro a entrambi che DOVEVANO conoscersi al più presto per non lasciare che il fiore del cactus appassisse, e le possibilità c’erano tutte: lei era andata a Firenze per perfezionare le sue abilità nel disegnare storie e lui era appena stato licenziato dalla libreria dove aveva speso gli ultimi due anni e perciò viveva solo di tempo ormai.....

Accordarsi per la metà di dicembre fu la conseguenza della necessità reciproca di incontrarsi, soprattutto per Federico che da sempre viveva d’istinto e sanguignità (chissà, forse per questo amava così tanto Firenze i cui abitanti in ciò gli erano assai simili).....

I giorni passarono velocemente tra mail e messaggi per accordarsi, stuzzicarsi, cercarsi in ogni momento della giornata, e con le rispettive fantasie che volevano spingersi sempre un po’ oltre ogni volta di più.....

Finalmente giunse QUEL giorno e Federico entrò nel treno che l’avrebbe condotto da Lei entro breve: l’appuntamento era per l’ora di pranzo nel luogo delle gite liceali, sui gradini del duomo, e per un fugace istante tornò a quel tempo della memoria.....

Ma per una volta finalmente non era tempo della memoria, era tempo del presente, e incurante dei fulmini e della pioggia che gli schiaffeggiava i capelli rinascimentali giunse al luogo prestabilito e puntuale Irene giunse.....

LE LABBRA. ....

Le sue labbra furono ciò che colpì come un montante Federico che si presentò alla sua concittadina (ebbene sì, si conoscevano a Firenze, ma le loro radici erano per entrambi nel lontano mare di Trieste) finalmente nel suo corpo e non più con degli inumani caratteri di un monitor.....

Il giorno rincorse se stesso velocemente, Federico ed Irene ebbero tutto il tempo di parlare, di conoscersi e di fare progetti per quello che avrebbe dovuto essere un soggiorno troppo breve per ciò che le loro speranze avevano in mente.....

Davanti a una cioccolata calda, custode necessaria per il gelo che fuori li voleva abbracciare, Federico ed Irene scoppiarono in una fragorosa risata quando scoprirono che le iniziali dei loro nomi, sola cosa che alla fine possediamo veramente di noi stessi e degli altri, non erano altro che la sigla della città che li aveva visti conoscere, F ed I, Firenze!....

Rapidamente giunse il momento del commiato, un abbraccio e un bacio da amici; per altro, pensò Federico, era presto e ci sarebbero stati i giorni successivi. Ormai ne era certo, l’aveva trovata, aveva trovato chi avrebbe potuto togliergli quel peso ormai insopportabile d’esser solo, solo anche se circondato dai suoi amici più cari, solo anche se imbottigliato nel traffico dell’ora di punta.....

Con questi pensieri Federico spense la luce elettrica e quella dei suoi occhi, certo che il giorno dopo avrebbe fatto un altro tratto di quella terribile salita, non poteva non essere così!....

La sveglia che sempre si portava dietro fu inutile perché come avrebbe dovuto ricordarsi Firenze viveva ancora per molte cose nel medioevo, e il tempo era segnato dal suono delle campane del duomo che alle sette in punto richiamavano come otto secoli prima i cittadini al lavoro.....

Federico si alzò e svegliato dopo l’anima anche il suo corpo con l’acqua scese al bar per la colazione, momento sacrale per lui, ma nel far questo il suo cellulare che mai spegneva richiamò la sua attenzione. Era un messaggio di Irene e subito pensò che fosse il più dolce dei buongiorno che d’altronde attendeva, ma lette le parole di colpo si sentì un condannato al patibolo trainato sul carretto dell’umiliazione: Irene aveva scelto per il bene di entrambi che era meglio non si vedessero più perché lo aveva ..imma..ginato diverso da ciò che parlando con lui aveva scoperto.....

A Federico parve di precipitare di colpo nel burrone della montagna che stava scalando: cos’era successo? Perché? Era una persona difficile, senza peli sulla lingua da sempre e per scelta non temeva di esporre le sue antipatie e i suoi amori ( e lui o amava o odiava, difficilmente qualcosa lo lasciava indifferente), ma erano parole, erano le figlie dei suoi pensieri che essendo fatti di ..imma..terialità potevano comunque modificarsi nel tempo, e quante volte aveva poi cambiato opinione su qualcosa per un accadimento avvenuto a sorpresa!....

Ma Irene non volle sentire ragioni, aveva fatto una scelta ponderata e, forse troppo simile a lui, non aveva intenzione di ritornare su suoi passi: questo era e DOVEVA essere un addio e Federico non potè fare altro che chinare il capo ed accettare che ancora una volta, per l’ennesima volta, era stato sconfitto.....

Il suo sangue gli esplose nelle vene, e nei suoi sogni avrebbe voluto placarlo decapitando con la sua spada, come i grandi condottieri medievali, i prigionieri dopo una battaglia campale, ma sapeva ciò che dopo l’ira furiosa lo attendeva e perciò si chiuse nella sua stanza e catarticamente esplose in lacrime, lacrime liberatorie e purificatorie come la pioggia che il giorno prima aveva visto Federico ed Irene felici assieme raccontarsi le rispettive vite mentre si trascinavano a vicenda di locale in locale.....

Ormai quel che doveva succedere era successo e prima di sporcare l’amore che provava per Firenze con la macchia scura come la notte polare di quell’esperienza Federico decise di prendere il primo treno possibile per il suo mare triestino, ma ormai si parlava del giorno successivo in tarda serata.....

Le ore che lo distanziavano dalla sua dipartita furono difficili da superare: conosceva perfettamente Firenze come si conosce alla perfezione il copro della propria amata, e cercava in tutti i modi di girare per conoscere posti nuovi, per calpestare selciati ignoti ai suoi piedi, ma sempre tornava per ripassare nelle strade che li aveva visti assieme abbracciati, sempre gli sembrava di vedere i suoi capelli lontani tra il brulicare dei turisti, sempre sentiva il suo odore se qualche ragazza gli passava accanto.....

Il nemico andava affrontato frontalmente, quindi decise con coraggio di andare a bere la sua ultima birra e fumare l’ultima Gauloise fiorentine nel locale che appena conosciuti Irene gli aveva indicato come tra i suoi preferiti.....

Appena seduto finalmente il fantasma di lei scomparve dalla sua mente e FINALMENTE godette del freddo di quella birra nel freddo dell’aria e godette d’ogni boccata dei quella benedetta sigaretta.....

Il tempo era infine giunto e lentamente si avviò al luogo che circolarmente apre e chiude ogni viaggio e in breve giunse alla stazione; un breve e spuntino e di corsa su quel maledetto treno, via per sempre da quel fantasma, da quel dolore che non voleva sparire come una macchia di sangue mal lavata.....

Ma ciò che è morto non può essere ucciso, i fantasmi tornano sempre dove erano vissuti e nati, e infatti non appena le rotaie abbandonarono la loro immutabile stasi il cervello di Federico fu posseduto dal fantasma di ciò che sarebbe potuto essere un sogno.....

IRENE ERA TORNATA!....

A quel punto solo una soluzione per liberarsi di tutto era rimasta a Federico, una soluzione definitiva e dalla quale non avrebbe mai più potuto tornare indietro: armeggiò nei suoi bagagli, estrasse l’arma che lui da sempre aveva preferito, la liberò rapidamente dalla sua sicura e puntando dritto come un toro sul drappo rosso si mise a scrivere…


APPUNTI SPARSI DI UN TIMIDO VIAGGIATORE

Era un giorno di Novembre come tanti, troppi altri. Io ero perso nella noia e nella forsennata ricerca di riempire il mio tempo desolatamente vuoto provando a fare di tutto pur di non tornare a casa.

Per mia fortuna una mia amica seguiva questo corso pomeridiano di tedesco e pur di restare a Venezia mi ero deciso di passare le successive due ore ad ascoltare una lingua tanto innegabilmente affascinante quanto assente nel mio cervello.....

Era un giorno di Novembre come tanti, troppi altri e stavo aspettando fuori dell’aula che finisse la lezione che la occupava, già pensando come riempire il giorno dopo e quelli successivi, quando dei passi risuonarono dalle scale che salivano dal piano sottostante. <..> pensai dentro di me, già pentendomi della scelta fatta e pronto a lasciare la mia amica da sola… ma no, non era la prof, era una ragazza.....

Dalle scale prima apparvero i capelli, lunghi e ondulati, seguiti da un viso angelico e ad un elegantissimo completo nero-beige, di quelli che andavano di moda ma che una volta tanto vedevano me, bastian contrario per natura, indubitabilmente d’accordo, ....

Era STATO un giorno di Novembre come tanti, troppi altri.....

Questa improvvisa quanto inattesa apparizione aveva penetrato il mio io fin nelle più remote profondità dell’animo che forse neppure io stesso credevo e sapevo prima d’ora d’aver avuto. Ero pietrificato e quasi scisso tra il mio corpo che, una volta liberatasi l’aula, come un automa si mosse per entrarvi e prendere un posto, e il mio io sentimentale calamitato inesorabilmente verso di Lei che si era posta a sedere così lontano.....

Furono due ore di tormento, con il mio sguardo a cercare febbrilmente il suo, ma le rare volte che ciò avveniva non lo reggevo, quasi schiacciato dallo splendore, e mi ritraevo, come un antico eroe greco che, giunto dopo lunghe peregrinazioni al tempio da tanto ricercato della sua divinità protettrice, temesse di entrarvi non sentendosi all’altezza e restasse immobilizzato davanti all’ingresso.....

Passarono così le due canoniche ore, ma passarono anche le settimane e i mesi e oltre a una muta adorazione non riuscivo ad andare, seppure dentro di me fossi lacerato da insostenibili dolori spirituali che mi spingevano all’agire nonostante il corpo si rifiutasse.....

Si stava avvicinando la fine con l’appropinquarsi delle vacanze natalizie e della lunga pausa invernale, e sapevo che rischiavo di perderla per lungo tempo (per sempre?) e non so come né quando, ma dentro di me scattò qualcosa e quel giorno decisi che dovevo parlarle almeno per rompere quel maledetto ghiaccio che rischiava di congelare tutto il sangue che erratico vagava nelle mie vene.....

La lezione era finita e lei stava al solito velocemente prendendo la strada di casa (di dov’era? veneta? italiana? ma poi, ERA o si trattava semplicemente di un mio sogno?), al che io la seguii e dopo un po’ che camminavamo parallelamente, alcune parole uscirono dalla mia bocca; forse le sembrai sciocco o troppo ovvio, ma in questi casi non ero mai riuscito a connettere cervello e bocca prima di parlare.....

Non fu (non mi parve) irritata o infastidita, e così l’accompagnai lentamente in stazione parlando di lei e di me (sì, era italiana, era veneta, ma soprattutto ERA), e l’ultima cosa che seppi prima di lasciarla fu il suo nome, la miglior conclusione a venti minuti di dialogo che riuscirono a colmare due mesi di dubbi, lacerazioni e sofferenze.....

Ma il destino era come al solito crudele: l’avevo appena conosciuta ma già rischiavo di perderla. Solo una settimana mi era rimasta ancora per vederla, ma che fare? confessarle il mio amore? forse, ma avrei corso il rischio di intimidirla; chiederle se avrei potuto rivederla lo stesso nel futuro anche dopo la fine dei corsi? proponibile, ma un rifiuto mio avrebbe ucciso; chiederle di scambiarci il numero di cellulare? cosa vitale, ma forse di una banalità da far cadere le braccia.....

Non so ancora; dicono che l’amore ingegni la mente, ma spesso blocca i tesi pensieri o li fa muovere in modo del tutto inconsulto, e già troppo spesso avevo sbagliato tutto, ma ora un errore non me lo sarei perdonato, e nei giorni che mi mancavano dal rivederla (e che avrei contato come un militare di leva o un carcerato conta i giorno che gli mancano alla liberazione) avrei pensato a lungo, certo che avrei fatto la scelta giusta.....

E poi a farmi luce c’erano il suo viso e suoi occhi, e non potevo fallire il sentiero così illuminato; no, non me lo sarei perdonato…....

LA VISIONE DELLA SIGNORA DEL LAGO - libera traduzione del brano The Vision of the Lady of the Lake, by The STrawbst

Il marinaio s’alzò al fragoroso suono del suo cuore durante il tacito arrivo dell’alba. Spiò attraverso la finestra sulla nebbia del lago che pesava come un sudario sulla fissità del mattino; le ragnatele d’argento stillavano di rugiada, pendenti dai cespugli come splendente filigrana, e i gigli dormienti venivano riflessi sul lago, così delicati, sereni e teneri.....

Il marinaio sospirò mentre si inoltrava tra gli alberi al luogo dove la sua barca era ormeggiata; quel cupo suono, mentre i suoi passi echeggiavano fino a quando il suono si perse nel lago, svanì quando liberò la barca. Allungando la testa attraverso quell’umida e appiccicosa foschia, pensò d’aver visto strane forme turbinanti: uno scherzo della vista che la nebbia spesso crea.....

Il marinaio era così intento ad attraversare il lago che non s’accorse che la corrente era aumentata allontanandolo dalle zone conosciute e venendo fermamente, anche se inconsciamente, trascinato; all’improvviso la nebbia parve salire sufficientemente per mostrare al marinaio uno stagno mai visto prima, innaturalmente profondo, nero, silenzioso e freddo.....

La camicia del marinaio gli si incollò sulle spalle: stava sudando per lo sforzo e la paura, aveva la sensazione che qualcuno lo stava guardando, sentì la sua presenza vicina. Un’invisibile forza lo blocco, la forza dalle sue braccia era totalmente svanita, gli intricati cespugli si richiusero attorno al lago: era in trappola come un pesce nella rete.....

All’improvviso apparve dall’acqua vicino a lui una spettrale figura di ragazza, vestita con una scintillante tunica; la ragazza si avvicinava materializzandosi, i capelli che incoronavano delicatamente la sua testa erano un riflesso d’oro colpito dal sole: tutte le più splendide ragazze s’erano incarnate in una.....

Offrì la marinaio la spada che stava reggendo che brillò davanti ai suoi occhi: Excalibur non era certo un giusto paragone per una spada che non poteva semplicemente essere descritta. Il marinaio rimase pietrificato dal suo sguardo che lo raggiunse nelle più profonde vie del suo animo: a chi avrebbe potuto conquistare i mali della vita, lei s’offrì completamente.....

La ragazza svanì dalla sua vista lasciandolo con la spada in mano, i capelli sembrarono indurirsi sulla sua nuca: una creatura lo avvicinò dalle profondità della nebbia, era potente, enorme ma stupida dal momento che fallì l’attacco; il marinaio colpì il suo enorme e stupido occhio e la creatura cadde riversa.....

Il cielo improvvisamente sembrò oscurarsi come per un’eclisse, il marinaio si chinò mentre una gigantesca aquila cadde in picchiata; un urlo di terrore fuggì dalle sue labbra mentre l’aquila gli si mise davanti con orgogliosa postura ammirando i suoi artigli maligni e crudeli. Avvantaggiandosi il marinaio colpì per primo e l’aquila sprofondò nello stagno.....

Il marinaio terrorizzato tentò di muovere la barca ma il remo aveva generato radici che si perdevano nell’acqua, la riva prese vita sotto forma di spire d’un serpente e tutto ciò che si poteva sentire era il suo viscido strisciare. Lanciò al marinaio uno sguardo di puro odio, si gettò nell’acqua e nuotò verso la barca mentre il marinaio era ipnotizzato dai suoi verdi e gelosi occhi quando sì levò dall’acqua gettandosigli attorno al collo.....

Non appena le spire si strinsero, il respiro iniziò a mancargli fino a soffocare, ma alzò disperatamente la spada e mentre il serpente stava già esultando gli mozzò il capo e le sue spire morte volarono nell’aria. Il marinaio s’asciugò il sudore dalla fronte, il suo cuore stava battendo come mai prima, i suoi occhi, come una lingua di lucertola, sfrecciarono attorno non osando più riposare.....

Un involontario brivido gli salì per la schiena quando udì il suono d’un sinistro ululato: un lupo apparve sulle rive dello stagno, gocce di saliva cadevano dalle sue ripugnanti fauci e l’odio covava nelle profondità dei suoi occhi che brillavano come tizzoni del fuoco infernale. Sembrava ingigantirsi mentre si chinava e ringhiava, limitandosi a osservare il marinaio che iniziava ad esser esausto. ....

Sembrava quasi che il lupo avesse imparato la lezione dal momento che non attaccò come gli altri avevano fatto, ma attese il momento giusto e balzò non appena il marinaio fissò il sole. Anche il marinaio però aveva imparato a difendersi e brandendo la spada come fosse un pugnale lo infilzò profondamente nel cuore del lupo e si buttò in ginocchio pregando per la sua vita.....

Si girò di scatto non appena sentì una mano sulla spalla, trovando la ragazza al suo fianco che gli sorrise e il mondo sembrò aprirsi dinnanzi a lui. Cercò di parlare ma la sua lingua era incatenata “Dovresti infilzare la spada profondamente nel mio cuore affinchè non sparisca in polvere” così lei offrì al marinaio il significato della vita e dell’amore, se lui non avesse potuto conquistare altro che lussuria.....

Scoprì il suo seno al marinaio che era ancora totalmente ammutolito, rigettò la spada nell’acqua perché tornasse nelle profondità da cui era emersa. L’acqua attorno a lui iniziò a ribollire, la ragazza cominciò a evaporare via, la sua barca fu sommersa mentre le creature si risollevarono.....

E la malvagità visse per un alto giorno…

The power of hatred

Brevissimo pensiero filosofico legato a un sentimento che adoro: l'odio.
Dicono che l'amore sia più forte (AMOR OMNIA VICIT); concordo che sia probabilmente più bello e piacevole, ma per esser gustato pienamente deve esser corrisposto, altrimenti diviene fonte di dolori e tristezza.
L'odio invece non necessita di alcuna corrispondenza per soddisfare chi lo prova, e secondo me in ciò sta la sua forza dominante e prorompente.
SIC DIXI
AMEN

EROTOMUSICALITA'

In uno dei miei momenti di delirio mi è venuta voglia di cercare una connessione tra alcuni strumenti musicali che amo e realtà erotiche, dal momento che secondo il mio punto di vista musica ed eros vivono su due rette coincidenti destinate spesso a incrociarsi... vediamo ora come...

ORGANO: questo è il mio strumento preferito e nelle mani di un sapiente musicista diventa qualcosa di assolutamente orgasmico. Ascoltatevi una delle classiche Toccata e fuga di Bach e non potrete non riconoscervi una riscrittura in note dell'amplesso perfetto: la lentezza iniziale, la costante e inesorabile inquietudine di due corpi che si cercano e si sfamano l'un dell'altro, le urla lanciate al cielo dalle canne irrorate dall'aria e lo sconvolgente finale che innalza nell'etere le urla dell'orgasmo perfetto, ricercato e trovato all'unisono dai due amanti.

PIANOFORTE: il gesto stesso che è necessario alla creazione del suono non è altro che la metafora di infinite e languide carezze delle mani sul biancore della pelle, simboleggiata dai tasti, di chi ama arrestare il malefico passare del tempo in romantica adorazione dell'altrui corpo, perfetto all'occhio di un innamorato.

CONTRABBASSO: qua rischio la banalità (ciò che maggiormente odio), ma risulta fin troppo chiaro immaginare questo strumento come il corpo della propria amata che allo sfiorare dell'archetto delle proprie dita vibra ed emette suoni languidi, passionali e penetranti che accarezzano dolcemente i nervi cerebrali.

BATTERIA: lo strumento che, se fossi stato musicista, avrei voluto suonare, rappresenta al meglio la passionalità furente, dolorosa ma estasiante del BDSM, e che solo una frusta, sapientemente maneggiata dalla propria Padrona, ritmata sulla pelle assetata di rosso ed ecchimosi può infondere. Perchè anche il donare il proprio dolore è un estremo gesto d'amore nei confronti della persona che si adora sopra ogni cosa.