domenica 17 ottobre 2010

STILL LIFE - A short poem


La lungimiranza

di foglie d'acanto

dialoganti

con l'essenza di rabarbaro fuxia che

stilla

schiumoso

da un'ossidiana

calantesi dal terrazzo d'un ex manicomio

tetramente

illuminato

da lune oscillanti

nel nero-blu

del cielo

a caduta libera

sulle teste di giovani uomini

che si rincorrono

sull'asfalto in fiamme

d'antiche

città

decadenti

mercoledì 13 ottobre 2010

Habemus Papam!


Nuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam! Eminentissimum ac reverendissimum Dominum, DOMINUM MATTEUM, Sanctæ Romanæ Ecclesiæ CARDINALEM DONATIONUM, qui sibi nomen imposuit AVIS PRIMUS.

domenica 19 settembre 2010

RECENSIO - J. G. Rosa, "Grande Sertao"

Da un po' di tempo, per questioni affettive e di curiosità mie personali, mi sono voluto avvicinare alla letteratura brasiliana, a me del tutto ignota prima. Un giorno, passeggiando come spesso faccio per Feltrinelli, mi sono imbattuto in un libro, quasi fosse stato lui a chiamarmi: l'ho preso in mano, guardicchiato, aperto, annusato e alla fine ho deciso di prenderlo, per poi scoprire a casa che viene considerato la vetta più alta di tutta la letteratura brasiliana. Insomma ciò che cercavo mi ha trovato, e nella sua forma probabilmente più alta, e così ho deciso, avendolo terminato giusto poco fa, di lasciar traccia dei miei pensieri. tale libro è

João Guimaraes Rosa, "Grande Sertão"

Subito dico che è un romanzo di non facile lettura, per la mole (500 pagine), per la forma (nessuna divisione in capitoli o paragrafi, ma un lunghissimo fiume di parole, quasi joyciano nel suo essere, quasi un Rio delle Amazzoni che brama eroticamente di raggiungere l'oceano dove esplodere) e per il linguaggio (che il traduttore Edoardo Bizzarri ha magistralmente reso, conservando le peculiarità innovatrici e fantasiose linguistiche di Rosa, che alcuni critici hanno definito l'Omero, il Virgilio, il Cervantes e il Joyce di Brasile.
All'inizio fu dura anche per me, ma sono persona testarda in ogni cosa della mia vita, e la sfida era aperta e DOVEVO vincerla e così ho proseguito, e avanzando nelle parole mi sono lasciato imprigionare e ho seguito la corrente sino alla fine, sempre più affascinato e conquistato.
Cos'è "Grande Sertão"? E' una storia di "jagunços", cioè di briganti, ma briganti nobili, eroici, erotici, passionali (il magistrale e necessario glossario posto in conclusione del libro li paragona ai bravi manzoniani, ma di loro gli jagunços poco hanno a mio avviso) che vivono la vita e muoiono la morte nei "sertoes", i deserti che si aprono nelle immense distese di quel paese staroridnario, meraviglioso, affascinante, terrorizzante che è il Brasile. Il sertão non perdona: caldo, polvere, pioggia, vento, ma anche distese lussureggianti di pascoli, fazendas, foreste, fiumi, che i nostri eroi attraversano.
"Grande Sertão" è Riobaldo, lo jagunço narratore, che in un interminabile susseguirsi di parole, descrive la sua vita, tra momenti di battaglie e scontri picareschi, profonde riflessioni sul senso della vita e delle vite, amori sessuali e amori di puro cuore, e continui ribaltamenti di alleanze, di attrazioni, di personalità.
Riobaldo non è solo Riobaldo, ma nel divenire degli eventi essi assume diversi nomi: è Tatarana (colui che suona il fucile come uno strumento) quando viene accolto dal capo del suo gruppo, è l'Urutù-blanco (velenosissimo serpente brasiliano) quando, ucciso dal tradimento di un suo uomo il leggendario capo Joca Ramiro, diventa capo assoluto dei jagunços rimasti in cerca di pura e sana vendetta sulle vipere che hanno osato disturbare l'ordine e la pace regnante nei sertoes, torna infine ad essere semplicemente Riobaldo alla conclusione della sua storia tutta narrata in prima persona a un misterioso "vossignoria".
Questo romanzo è anche romanzo d'amore, per le ragazze incontrate lungo i mille omerici viaggi nei mari di verde albero e giallo sabbia, per la ragazza promessa sposa Otacilia, uno sguardo da una finestra, un sorriso, una pelle lucente che intrappola il cuore di Riobaldo, ma è anche l'amore per un suo misterioso compagno sin dall'infanzia, Diadorim, figura emblematica, misteriosa e che sarà il colpo di scena conclusivo ribaltante il tutto.
Insomma, è un romanzo che va affrontato, pur nella sua difficoltà, perchè è affresco di vita umana, con tutte le sue debolezze, perchè è un acquerello sulla vita di un certo Brasile misterioso, affascinante e in fondo anche magico (Dio, Satana, natura: ogni entità spirituale avvolge la vita dei jagunços sempre, in ogni loro attimo) e perchè, come Luciana Picchio afferma in quarta di copertina: "questo libro magico [...] è forse il dono più grande che l' America Latina del realismo magico e il Brasile della parola iridata hanno fatto in questi anni a un' Europa di disseccato cerebralismo"
Appunto: contro il cerebralismo, la scientificità, il raziocinio, abbandoniamoci e abbandonatevi alla magia e alla parola che è anche disegno oltre che grafia di questa opera. ne vale la pena.

martedì 17 agosto 2010

curiosità linguistiche


osservavo incuriosito che il cognome di PESSOA, che nella vita ha creato diverse "persone" che immaginava scrivessero le sue opere dando loro nomi differenti, in portoghese significa proprio PERSONA... nomen omen?

giovedì 29 luglio 2010

La Commedia secondo Borges


"Morta Beatrice, perduta per sempre Beatrice, Dante giocò con la finzione di ritrovarla, per mitigare la tristezza; io personalmente penso che abbia edificato la triplice architettura del suo poema per introdurvi quell'incontro" [J. L. Borges]
Mi hanno commosso queste parole, sognanti un amore che davvero "omnia vincit"...

martedì 29 giugno 2010

RECENSIO - J. Coe, "La casa del sonno"

Dopo aver letto altri romanzi non male, ma che non hanno lasciato segni evidenti dentro di me, torno dopo un po’ di tempo oggi per presentare un libro davvero straordinario e che consiglio a tutti:

J. COE, “La casa del sonno”, Feltrinelli.

Già sin dalla mera architettura narrativa il romanzo si presenta come un piccolo gioiellino, con salti tra presente e passato, che si alternano tra capitoli pari e quelli dispari, e con le varie sezioni (che seguono le fasi del sonno scientificamente studiate), collegate tra loro dallo stesso gruppo di parole che però si riferiscono a tempi diversi.
Ma oltre all’architettura generale, anche l’arredamento di storie, personaggi, luoghi che si incrociano, si ritrovano, si perdono e si incontrano rendono il lavoro di Coe un lungo andirivieni nella mente umana e nel senso del tempo che si perde senza speranze (vago richiamo, probabilmente, a “Gli anni” di V. Wolf) e che tiene il lettore attaccato, ora con un sorriso, ora con una lacrima, ora con un moto di rabbia per ciò che sarebbe potuto succedere e non è stato, sino all’ultima pagina.
I personaggi (il disperato innamorato Robert, l’archetipo di scienziato pazzo Gregory, la dolcemente folle Sarah, il novello Ulisse Terry, alla ricerca eterna di un film del neorealismo italiano, forse inesistente e di cui esiste solo un unico fotogramma) sono pupazzi in balia del tempo, pupazzi che però cercano sempre la loro realtà e la loro natura anche perdendosi e mutando radicalmente forma.
La genialità di Coe si rivela anche nella sapiente costruzione a scatole cinesi di tutto l’intreccio, nella presenza di momenti di grande comicità e in due trovate indimenticabili: una finta breve autobiografia con la presenza di note al testo saltate che presentano conseguentemente commenti dissacranti, in un gioco che solo la potenza della lingua può permettere, e la consegna all’appendice conclusiva, extra narrativa, di tre documenti (una poesia, una lettera e una trascrizione) che svelano definitivamente ciò che ancora ci era stato lasciato nell’ombra nebbiosa del mistero.
Concludendo, un romanzo che consiglio caldamente a tutti, perché perdersi nei labirinti della mente umana, che sono in fondo anche i nostri, è una possibilità anche di trovare noi stessi.

venerdì 25 giugno 2010

The solitary knight's lament


Oro non vo cercando
il mio cammin mai fu perso
mai vecchiaia mi coglierà
nè gelerà lo spirto mio
il fuoco celato s'iinnalzerà
ogn'ombra verrà scacciata
il mio brando invitto mai si piegherà
e la corona mia d'amor sarà!