mercoledì 15 dicembre 2010

LATTE VERSATO - Chico Buarque


Durante il mio soggiorno aostano entrai in una di quelle rare librerie che ancora vivono di passione, e scambiai due chiacchiere con il libraio chiedendogli un consiglio su qualche scrittore brasilaino contemporaneo che non fossero sempre i soliti (Amado, Guimaraes Rosa, o il terrribile prezzemolino Coelho) e mi parlà di "Latte versato", di Chico Buarque de Hollanda, da me conosciuto come cantante. Ritornato a Mestre lo cercai, lo comprai e giusto oggi l'ho finito di divorare.



Quest'opera è un tuffo nell'ironia che scioglie il dolore, nella joi de vivre che cela la malinconia, nelle splendide contraddizioni d'uno splendido paese, il Brasile appunto.

Eulalio d'Assumpção è un centenario che giace moribondo sul lurido letto di un ospedale pubblico di Rio de Janeiro, finito lì perchè, mentre si stava facendo una doccia, era caduto rompendosi il femore poichè si stava masturbando contro la parete del bagno perchè gli era apparsa la sua ossessione, la moglie Matilde, mulatta sensuale e libertina, che, sposata diciassettenne da giovane dopo pochi mesi era sparita nel nulla lasciandogli un neonato di pochi mesi, gettandolo nella disperazione e tormentandolo con sue apparizioni.



Il romanzo è un continuo flashback sulla vita di quest'uomo, che vede disgregarsi la fortuna della sua antichissima e nobile famiglia brasiliana, che vede il declino anche morale di nipoti e bisnipoti, e che appunto ricerca per gli 80 anni di vita rimasta, sempre mantenendo totale fedeltà, la moglie che lo aveva abbandonato.

Di lettura agevole, rapida e convulsa, vi farà sorridere davanti alle disavventure quasi fantozziane della famiglia e dei personaggi che affollano le sue pagine, vi faraà incazzare per le ingiustizie e i comp0ortamenti indegni degli esseri umani, vi farà piangere perchè è anche un lamento dell'abbandono sentiemntale di un uomo che "aveva la sensazione di possedere un desiderio potenziale equivalente a quello del padre, per tutte le femmine del mondo, sebbene concentrato in una donna sola", Matilde apputno, che a suo modo dà il titolo al romanzo (e potrebbe essere stato altrimenti?)

sabato 11 dicembre 2010

PROMESSE CONIUGALI (ovvero una storia lumbarda del XXI secolo in XIV capitoli al fin di smontar quell’ebete del manzoni)



Lucia, casta e virginea fanciulla bergamasca, fidanzata con Renzo, giovane comasco ricamatore in una losca azienda di cinesi a Lodi, nonchè latente omosessuale innamorato del vecchio parroco del suo paese, tale Ambrondio, viene rapita da Rodericus, pornodivo e culturista norvegese, che la porta nella sua villa sul Lago Maggiore dove passano notti indimenticabili.

Mentre Lucia e Rodericus giocano a twister a letto, Renzo, accompagnato dai suoi due amici Cassius e Mentula, nottetempo cerca di infilarsi nella canonica per soddisfare le sue malate bramosie, ma Ines, la mamma di Lucia, vecchia ex prostituta d'origini andaluse, preoccupata più delle tendenze del futuro cognato che del rapimento della figlia lo pedina.
Scopertolo a brache calate davanti al letto di Ambrondio, lo mette in fuga con un coltello a serramanico, e Renzo prende la strada di Milano per evitare l'evirazione.

Con Renzo in fuga, Ines si rammenta della sua povera Lucia, sempre intenta a scoprire nuovi mondi dell'eros, e decide di fare un salto da un suo vecchio cliente, Cristobal, padre gesuita di Coimbra, noto puttaniere in gioventù, perchè vada a parlare con Rodericus. Il vecchio padre, oramai sifilitico, accetta di buon grado e giunge nella villa neoclassica del pornodivo norvegese. Qui, mostrandogli il suo corpo disfatto dal mal venereo, lo convince a lasciar libera la fanciulla, non più casta nè virginea, e insieme si muovono verso Monza, per cercar di raggiungere il fuggitivo Renzo.

Renzo, giunto a Milano, incontra un gruppo di punkabbestia a Porta Genova e, viste le sue inclinazioni, fa subito "profonda amicizia" col capo, Borromea, transessuale di Fortaleza chiamata nel giro "O Cardinal" per il suo amore per gli abiti talari rossi. Nel frattempo Lucia e il sifilitico Cristobal, stanchi del cammino, si fermano a Monza nel monastero di Frau Gertrud, vecchia mistress bavarese, non sapendo a cosa vanno incontro.

Renzo passa una settimana tra notti all'addiaccio in Stazione centrale e furtarelli a negozi di cinesi e squallidi ipermercati di periferia, fino a quando una notte confessa il suo amore a Borromea, ma il viados gli confessa che il suo cuore è già di un altro... il nostro povero ricamatore in lacrime fugge disperato e vagando per losche strade di periferia giunge in zona San Siro.

Intanto a Monza Lucia subisce per una settimana le sevizie della sadica Gertrud ("attenzioni" che alla nostra fu casta e virginea fanciulla parvero piacere assai) ma Cristobal, stufo che nessuna monaca lo badasse, chiama il suo vecchio amico d'infanzia Gennaro "il SenzaNome", capoclan di Afragola, che con un commando irrompe nel monastero, uccide le sante donne a mitragliate e porta via i due nostri eroi, direzione Milano.

Renzo, non potendo sapere che la sua amata era ormai divenuta una ninfomane e viaggiava alla sua ricerca con un sifilitico e un camorrista, incontra nel suo vagabondare un gruppo di buskers catalani, i Los Bravos, il cui capo, tale el Grisù (chiamato così per i suoi gravi problemi di aerofagia) lo ospita nel loro tendone, frequentato da prostitute, tossici e sbandati vari, insegnandogli l'arte del giuocare con le clave.

Periglioso fu il viaggio del trio:da Monza a Crema furono perseguitati da Azzecca Bottoni,temibile testimone di Geova,alla fine strangolato da Gennaro.A Sesto S.Giovanni incrociarono Primo Carneade,energumeno calabrese che giusto per non farle perdere esercizio violentò Lucia su un albero mentre Cristobal riprendeva il tutto col suo I-Phone,ma alla fine giunsero presso una strana tendopoli vicina a S.Siro.

Grazie a El Grisù Renzo era ormai diventato un busker molto ricercato, che aveva ritrovato la via dell'eterosessualità grazie a Cecilia, detta "La Peste", una diciassettenne campana tutta peperoncino e lascivia, che l'aveva irretito in un amen. Tutto pareva esser idilliaco quando presso il lercio tendone dei Los Bravos giunse uno strano terzetto: un incartapecorito frate sifilitico, una fu virginea fanciulla mutata dalla vita in ninfomane e un vecchio camorrista sfregiato...

Lo sguardo di Renzo copulante con Cecilia cadde sugli occhi lubrichi di Lucia che saettarono verso di lui appena vistolo. Cecilia capi al volo e si gettò sulla ragazza taglierino in mano, ma venne fermata da Gennaro che le spezzò il polso facendola innamorare di lui all'istante per i modi galanti. Lucia giunse davanti a Renzo e schiaffeggiatolo lo possedette là, mentre Cristobal applaudiva, non sapendo ciò che stava per accadergli.

Lacrime scendevano dagli occhi di padre Cristobal a quella visione: Renzo finalmente violentato da Lucia e Gennaro "Il SenzaNome" e Cecilia "La Peste" in idillio d'amore gli fecero rammentare la sua giovinezza quando, seminarista, nessun bordello di Coimbra era passato indenne dall'instancabile fantino. Troppe furono le emozioni per quel vecchio ormai segnato dalla sifilide, e il cuore gli esplose senza dolore, facendolo cadere nella fanghiglia del tendone.

Cristobal era morto, il suo corpo già roso dai ratti di fogna che vagavano presso il tendone, Renzo e Lucia finalmente riuniti, Gennaro e Cecilia due piccioncini. El Grisù, triste nel vedere la sua famiglia di disperati accattoni sciogliersi, si girò per andarsene, ma in quell'istante apparve Borromea, il viado amato da Renzo, che da sempre segretamente fremeva per lui. Si guardarono, si presero per mano e insieme si mossero verso una nuova vita assieme.

I miei lettori vorranno sapere come finirono le triste storie. Gennaro e Cecilia morirono in un regolamento di conti per lo spaccio di supposte al crac, Borromea e El Grisù coronarono il loro amore gay in quel di Rotterdam. E renzo e Lucia? Beh, Ambrondio, ormai debilitato dall'alzheimer, li sposò, ebbero due bei bimbi, ma Renzo finì per essere schiavizzato da Lucia, novella Semiramìs del Lago di Como...

Questa conclusione, benché trovata da merdosa gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di cazzarla qui, come il sugo rancido di tutta la storia. La quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, beh, allora, potete davvero andarvene tutti affanculo!

FINIS

venerdì 3 dicembre 2010

LA BOTTEGA DEI MIRACOLI - Jorge Amado


Da tempo cercavo un libro che mi esplicasse meglio l'affascinante cultura umana e religiosa del Brasile: il candomblè, gli Orixàs (le divinità afro-brasiliane) e il sincretismo con i santi cristian, ma nessun saggio trovavo, così chiesi consigli sia in librerie sia a una mia amica e giunsi ad avere tra le mani ed aprire questo romanxi di Amado.

Come altri romanzi sudamericani e brasiliani letti, l'inizio risulta sempre pesante, per l'amore tutto latino-americano dell'ampollosità, del barocco, delle infinite descrizioni, che se nel cuore di un testo risultano affascinanti, all'inizio possono intimorire; ma superata l'erta iniziale, dopo vi si apre un universo in cui immergersi.

Salvador de Bahia, anni '70: una città, un popolo piange la morte di Pedro Archanjo, mulatto, bidello universitario ma etnologo tra i più vivi, babalorixa, amico di tutti, padre di figli sparsi nel mondo.

Partendo da questo elemento, la penna di Amado ci traccia con maestria, attraverso la vita del protagonista (ahimè inventato: non cadete nel mio sbaglio di crederlo esistito e passare ore a cercarne informazioni in rete!) un maestoso affresco della vita, dei colori, delle usanze e del dolore del popolo brasiliano.

Il romanzo è una saga famigliare, o meglio una saga plurifamigliare dal mometo che l'amore libero domina su tutto e tutti, e ogni bambino è figlio del popolo, non importa chi ne siano i genitori naturali; è un saggio sulla religione brasiliana che ci viene presentata attraverso i riti, le figure, le divinità; è un dipinto fatto di colori (i tramonti sull'oceano, la pelle dei protagonisti, i colori della città) e di odori (i profumi dei cibi, delle spezie, l'arome della cachça sempre presente, il profumo di rosmarino dei corpi di affascinanti ragazze mulatte); ma è anche un dolente lamento sul razzismo umano, sulla bassezza dell'uomo bianco che si vuol porre come assoluto dominatore di un mondo non suo, e un inno alla ribellione e alla libertà, con la teoria di fondo che solo il meticciato può salvare il mondo, perchè soltanto incrociando all'infinito culture, sangue, baci si può giungere alla VERA razza pura, la razza umana meticciata, nucleo fondamentale di tutte le ricerche di Archanjo.

Entrare in questo romanzo è come fare una passeggiata nel cuore del Brasile, nelle sue vaste contraddizioni, nella sua impareggiabile bellezza e nel suo unico fascino, sempre condotti per mano da Pedro Archanjo che "non è uno solo, ma vario, numeroso, multiplo, quarantenne, giovanotto, ragazzo, vagabondo, buon conversatore, buon bevitore, ribelle, sedizioso, organizzatore di scioperi, agitatore, suonatore di chitarra e chitarrino, innamorato, tenero amante, stallone, scrittore, scienziato, uno stregone. Tutti poveri, con la pelle scura, e civili"

mercoledì 1 dicembre 2010

O DOGMA

O amor
è uma mulher
que nunca decepciona,
os quais olhos
pretos
são como a lua
cheia na noite escura,
brilhante e feliz.

E’ o fogo na casa do pobre,
o fumo dum cigarro
nas esperas longas
da vida.
E’ o oxigènio na profundidade
do oceano:
precioso
vital
amado.

Aqui està e este è
o unico dogma
das todas as pessoas
humanas:
Amor è o quem è amado.

domenica 17 ottobre 2010

STILL LIFE - A short poem


La lungimiranza

di foglie d'acanto

dialoganti

con l'essenza di rabarbaro fuxia che

stilla

schiumoso

da un'ossidiana

calantesi dal terrazzo d'un ex manicomio

tetramente

illuminato

da lune oscillanti

nel nero-blu

del cielo

a caduta libera

sulle teste di giovani uomini

che si rincorrono

sull'asfalto in fiamme

d'antiche

città

decadenti

mercoledì 13 ottobre 2010

Habemus Papam!


Nuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam! Eminentissimum ac reverendissimum Dominum, DOMINUM MATTEUM, Sanctæ Romanæ Ecclesiæ CARDINALEM DONATIONUM, qui sibi nomen imposuit AVIS PRIMUS.

domenica 19 settembre 2010

RECENSIO - J. G. Rosa, "Grande Sertao"

Da un po' di tempo, per questioni affettive e di curiosità mie personali, mi sono voluto avvicinare alla letteratura brasiliana, a me del tutto ignota prima. Un giorno, passeggiando come spesso faccio per Feltrinelli, mi sono imbattuto in un libro, quasi fosse stato lui a chiamarmi: l'ho preso in mano, guardicchiato, aperto, annusato e alla fine ho deciso di prenderlo, per poi scoprire a casa che viene considerato la vetta più alta di tutta la letteratura brasiliana. Insomma ciò che cercavo mi ha trovato, e nella sua forma probabilmente più alta, e così ho deciso, avendolo terminato giusto poco fa, di lasciar traccia dei miei pensieri. tale libro è

João Guimaraes Rosa, "Grande Sertão"

Subito dico che è un romanzo di non facile lettura, per la mole (500 pagine), per la forma (nessuna divisione in capitoli o paragrafi, ma un lunghissimo fiume di parole, quasi joyciano nel suo essere, quasi un Rio delle Amazzoni che brama eroticamente di raggiungere l'oceano dove esplodere) e per il linguaggio (che il traduttore Edoardo Bizzarri ha magistralmente reso, conservando le peculiarità innovatrici e fantasiose linguistiche di Rosa, che alcuni critici hanno definito l'Omero, il Virgilio, il Cervantes e il Joyce di Brasile.
All'inizio fu dura anche per me, ma sono persona testarda in ogni cosa della mia vita, e la sfida era aperta e DOVEVO vincerla e così ho proseguito, e avanzando nelle parole mi sono lasciato imprigionare e ho seguito la corrente sino alla fine, sempre più affascinato e conquistato.
Cos'è "Grande Sertão"? E' una storia di "jagunços", cioè di briganti, ma briganti nobili, eroici, erotici, passionali (il magistrale e necessario glossario posto in conclusione del libro li paragona ai bravi manzoniani, ma di loro gli jagunços poco hanno a mio avviso) che vivono la vita e muoiono la morte nei "sertoes", i deserti che si aprono nelle immense distese di quel paese staroridnario, meraviglioso, affascinante, terrorizzante che è il Brasile. Il sertão non perdona: caldo, polvere, pioggia, vento, ma anche distese lussureggianti di pascoli, fazendas, foreste, fiumi, che i nostri eroi attraversano.
"Grande Sertão" è Riobaldo, lo jagunço narratore, che in un interminabile susseguirsi di parole, descrive la sua vita, tra momenti di battaglie e scontri picareschi, profonde riflessioni sul senso della vita e delle vite, amori sessuali e amori di puro cuore, e continui ribaltamenti di alleanze, di attrazioni, di personalità.
Riobaldo non è solo Riobaldo, ma nel divenire degli eventi essi assume diversi nomi: è Tatarana (colui che suona il fucile come uno strumento) quando viene accolto dal capo del suo gruppo, è l'Urutù-blanco (velenosissimo serpente brasiliano) quando, ucciso dal tradimento di un suo uomo il leggendario capo Joca Ramiro, diventa capo assoluto dei jagunços rimasti in cerca di pura e sana vendetta sulle vipere che hanno osato disturbare l'ordine e la pace regnante nei sertoes, torna infine ad essere semplicemente Riobaldo alla conclusione della sua storia tutta narrata in prima persona a un misterioso "vossignoria".
Questo romanzo è anche romanzo d'amore, per le ragazze incontrate lungo i mille omerici viaggi nei mari di verde albero e giallo sabbia, per la ragazza promessa sposa Otacilia, uno sguardo da una finestra, un sorriso, una pelle lucente che intrappola il cuore di Riobaldo, ma è anche l'amore per un suo misterioso compagno sin dall'infanzia, Diadorim, figura emblematica, misteriosa e che sarà il colpo di scena conclusivo ribaltante il tutto.
Insomma, è un romanzo che va affrontato, pur nella sua difficoltà, perchè è affresco di vita umana, con tutte le sue debolezze, perchè è un acquerello sulla vita di un certo Brasile misterioso, affascinante e in fondo anche magico (Dio, Satana, natura: ogni entità spirituale avvolge la vita dei jagunços sempre, in ogni loro attimo) e perchè, come Luciana Picchio afferma in quarta di copertina: "questo libro magico [...] è forse il dono più grande che l' America Latina del realismo magico e il Brasile della parola iridata hanno fatto in questi anni a un' Europa di disseccato cerebralismo"
Appunto: contro il cerebralismo, la scientificità, il raziocinio, abbandoniamoci e abbandonatevi alla magia e alla parola che è anche disegno oltre che grafia di questa opera. ne vale la pena.